[audio:http://www.fileden.com/files/2007/6/28/1218975/Evanescence%20-%20Bring%20Me%20To%20Life%20.mp3|autostart=yes|bgcolor=0x000000]

Le dolci note di una chitarra risuonavano nell’aria mattutina, mentre i raggi solari riscaldavano quella normale giornata di metà aprile.
Gli uccelli volavano felici nel cielo, mentre la loro voce faceva da colonna sonora a quella giornata e la serenità viveva nell’aria di quel parco.
Poco più in là dei bambini si impersonavano calciatori, a loro bastava un pallone per sentirsi speciali.
Quanto mi mancano quei momenti, quando anche un niente poteva divenire tutto.
Mi alzai dalla panchina, reggendomi a stento sul mio bastone ormai vecchio e sporco di vita.
Ricordo ancora il suo antico splendore, legno di mogano pitturato di nero con l’impugnatura in ottone, ora di un grigio chiaro pieno di crepe.
Lentamente e sulle note di una canzone country mi allontanai dal parco, mentre il cinguettare degli uccelli diminuì di intensità fino a venire coperto dall’orrido rumore della città.
Il cambio di scena non poteva passare inosservato e la tranquillità della vita del parco divenne solo un ricordo.
Tutti sempre di fretta, tutti sempre in ritardo, tutti sempre di corsa, tutti legati con un doppio nodo al fattore tempo, che tristezza.
Passeggiavo quasi esternandomi dall’ambiente circostante, mentre tutto intorno a me scorreva senza sosta verso una fine inesorabile; una ragazza dai capelli dorati e gli occhi marroni mi si avvicinò, doveva avere più o meno l’età di mia nipote.
Un salto nel passato fu inesorabile, quella ragazza assomigliava terribilmente alla mia defunta moglie Vanessa, morta qualche anno addietro, nel fiore degli anni suoi
Mentre la ragazza parlava proponendomi un sondaggio sulla città, nella mia mente rivivevo il primo appuntamento con la mia amata consorte.
In quel bar, lì all’angolo, la incontrai per la prima volta e subito me ne innamorai, all’istante, nonostante in quel periodo avessi ormai smesso di credere nell’amore.
Era dicembre, e le offrii una cioccolata calda bella densa come le è sempre piaciuta e come l’ha sempre ordinata nelle nostre uscite quotidiane in quel freddo inverno.
Tra noi era nato qualcosa di indescrivibile, ci intendevamo alla perfezione in qualunque ambito e ridevamo, ridevamo sempre e comunque, di qualsiasi argomento.
Ma ricordare fa sempre male ed il passato è doloroso, per questo abbandonai Vanessa nel luogo dove era rimasta segregata negli ultimi anni.
Risposi a tutte le domande che quella ragazza mi pose, e salutandola infine con un sorriso mi allontanai, sempre appoggiato al mio fedele bastone.
Quante cose erano cambiate in tutti quegli anni, quanti nuovi palazzi erano stati costruiti, quante nuove scoperte…
Mi sembrava quasi di vivere in un mondo che non mi apparteneva più, popolato da persone che non lo rappresentavano e non se ne interessavano più come un tempo.
Un velo di dispiacere mi coprii, mentre zoppicavo verso casa e attorno a me vedevo solo gente totalmente incapace di ridere, quasi le risate fossero state messe al bando.
Eserciti di facce tristi, stressate…
Solo i bambini riuscivano a trovare la felicità che per gli adulti era ormai diventata un’utopia, anche lontani dalla tranquillità, dalla vita e dal verde di quel parco immerso nella natura.

Mi allontanai da quel vecchio con un unico pensiero fisso: l’avevo già visto, l’avevo già visto da qualche parte.
Non sapevo né dove né quando, ma già da tempo il mio sguardo si era scontrato con il suo.
D’un tratto mi bloccai, con ancora quei fogli in mano, e con la paura che iniziava a scorrere nelle mie vene mi voltai, scostando dagli occhi quei miei lunghi capelli biondi. Il vecchio era ormai sparito, allontanatosi per chissà quale direzione.
Allora tutto mi fu estremamente chiaro.
Quell’uomo era ciò che la città stava cercando, il più grande assassino degli ultimi vent’anni.
Quante vite aveva distrutto, quante famiglie, a partire dalla sua
Moglie e nipote, gli unici che ancora gli fossero rimasti, morti, morti e sepolti.
Le mani iniziarono a tremarmi , i fogli caddero in terra ed iniziarono a volare da tutte le parti; iniziai a correre, a correre verso la stazione di polizia più vicina per denunciare il fatto.
L’assassino si aggirava indisturbato per la città, senza che nessuno facesse nulla per fermarlo.
Ero una ragazza per bene e ci tenevo all’incolumità di tutti i cittadini; forse non tutti avrebbero agito nello stesso modo.
Nella fretta mi scontrai con un ragazzo, stava trasportando uno scatolone pieno di cianfrusaglie e l’urto fece ruzzolare tutto per terra.
Continuai a correre, urlandogli quanto mi dispiacesse per l’accaduto, ma non potevo fermarmi, dovevo assolutamente raggiungere il mio obiettivo.

Nello scontro la ragazza aveva perso una lettera, una lettera che informava i genitori di fatti da lei commessi: omicidio colposo, omissione di soccorso e guida in stato di ebrezza.
Quella ragazza era un pericolo pubblico ambulante; dopo aver sistemato tutti gli oggetti nello scatolone ripresi a camminare verso casa di mio padre.
In quel mondo io non esistevo, ero nato per uno solo scopo, aiutare mio padre nella sua grande impresa di “pulizia”.
Nessuno capiva ciò a cui aspiravamo e mio padre, ormai vecchio e stanco, era stato definito “assassino” da tutta quella gente. Proprio lui, che per vent’anni li aveva liberati di uomini dannosi per la società, proprio lui, che li aveva privati di dolori aggiuntivi.
Uccidi uno per salvarne 100, questo era il nostro motto.
Sono stato io ad uccidere mia madre, voleva rivelare a tutti della mia esistenza, era solo un intralcio per il nostro lavoro.
Per quanto riguarda mia cugina, beh, lei aveva fatto tutto da sola, ma i media avevano fatto passare mio padre per il responsabile.
Arrivai giusto in tempo per assistere allo spettacolo: un salto e tutto raggiunse la fine, il cerchio si chiuse.
Mio padre aveva completato la sua missione togliendosi la vita.
Dalla stazione di polizia provenne il dolce suono che aveva accompagnato la mia intera infanzia: uno sparo che Dio solo sa a chi era rivolto.
Non era ancora finita, non ero più utile in quel luogo, presi la pistola dallo scatolone di mio padre e recessi dall’incarico che mi era stato assegnato.
Un nuovo sparo.

Il corpo di quella bella ragazza bionda giaceva di fronte a me, un semplice poliziotto che non sapeva cosa quel giorno gli sarebbe aspettato.
Era ubriaca, forse drogata, e aveva minacciato di ucciderci se non avessimo catturato il serial killer degli anni 80 che girava a piede libero per la città.
Il colpo era partito così, la pistola non aveva la sicura ed una giovane vita era stata stroncata.
Era bellissima, e sembrava una brava ragazza.
Ma le apparenze ingannano, e non si vedono mai i problemi di una situazione se ci si è dentro fino al collo.
Le apparenze ingannano e nessuno lo vuole capire.
Lentamente l’attenzione della folla per quel fatto… svanì, privando quella ragazza dell’immortalità che, forse ed in un modo tutt’altro che positivo, le sarebbe spettata.
Poco più in là, in una casa disabitata, trovammo il cadavere dell’assassino seriale che la ragazza stava cercando di farci catturare; assieme a lui un ragazzo non identificato.
Era finita, quella lunga e pesante giornata era finalmente terminata.

Tre vite giunte alla conclusione, tre vite in attesa di una rinascita.

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