“Amore” Se me l’avessero chiesto qualche anno fa avrei risposto la solita frase preparata per tutti: L’amore non esiste.

Ma molte sono le cose cambiate negli anni, e per notarlo basta che io mi guardi attorno, ciò che mi circonda è più di quanto io abbia mai desiderato.
Lei è nell’altra stanza che dorme in assoluto silenzio, mentre qui l’unico rumore che riecheggia sono le mie dita che spingono sopra i tasti.
È l’una di notte, ma i lampioni fuori casa sono ancora accesi, permettendomi di scrivere anche nella quasi oscurità.
Erano anni che non trasformavo in testi i miei pensieri, ma dicono che se smetti di andare in bicicletta, anche se per un lungo periodo, non ti dimentichi come si pedala.
Non puoi dimenticarti le cose essenziali per la tua vita.
Troppi anni sono passati in sordina, è ora di iniziare da capo, raccontare l’epilogo di una vita e l’inizio di un’altra.
Il giorno della mia morte coincide con il giorno della mia rinascita.
È successo più o meno dieci anni fa…

Era un giorno qualunque, un giorno nero come il precedente e come lo sarebbe stato anche l’indomani.
Uscivo da una settimana di influenza, e stanco e stravolto camminavo per le strade della città con in mano una teca e qualche scheda.
Mi stavo recando da Lei, per farle vedere quanto sapevo essere un bravo compagno e allo stesso tempo esserle d’appoggio mentre scontava quegli ultimi giorni di riposo forzato.
Ad accogliermi trovai la madre, che dopo un breve giro panoramico mi condusse nella sua stanza. Tutte le camere erano enormi, addobbate con infiniti quadri di immenso valore; uno specchio faceva capolino sulla parete alla fine del corridoio. Era molto antico e la sua cornice d’ottone non faceva che sottolineare ulteriormente la sua preziosità.
Appena entrai la vidi, distesa nel letto, nascosta da quelle calde coperte a quadri verdi e rossi.
Il suo colorito era più roseo dall’ultima volta che ci eravamo visti, segno che ormai anche la sua influenza era completamente svanita.
Appoggiai la teca e le schede sulla sua scrivania accanto al computer, e mi sedetti ai piedi del letto. Sua madre si congedò per recarsi a lavoro, lasciandoci padroni di quella villa e di quella giornata.
Iniziammo a parlare normalmente, come sempre facevamo a scuola, disinvolti e senza pensieri.
Ma d’un tratto tutto cambiò, ed i nostri ruoli di semplici amici e compagni vennero capovolti.
Mi trovai così, senza motivo apparente, steso accanto a lei, sotto le sue coperte, immersi entrambi in un bacio che mi uccise e mi donò la vita.
Foscolo direbbe “Dopo quel bacio io son fatto divino”, e non riesco a trovare modo migliore per descrivere la sensazione che provai in quel momento.
Non riesco nemmeno a ricordare quanto sia durato, risultando per me infinito.
Passammo così il resto della giornata, riscaldati dal calore di un abbraccio, e nascosti sempre da quelle coperte a quadri verdi e rossi.
Da allora tutto cambiò, e le mie giornate divennero meno cupe del solito, ma nonostante questo fummo costretti a nascondere agli occhi di tutti quella nostra passione nascente, costretti a concederci baci rubati celati da un muro.
Perché il suo cuore, sfortunatamente, non era una mia esclusiva, poiché apparteneva anche ad un ragazzo che l’amava, l’amava davvero, ma non si era mai chiesto se fosse realmente ricambiato. Ero quindi costretto a fingere di non essere nessuno per Lei, piuttosto che ferire il fautore di quel falso amore.
Di fronte a tutti ci accontentavamo di sfiorarci appena, involontariamente, badando a non dare nell’occhio, neppure minimamente.
Mentre le fiamme continuavano a bruciare dentro me, mentre la passione continuava a crescere… la voglia di lei non accennava a diminuire.
Eravamo costretti a dire quello che gli altri volevano sentirsi dire, costretti a tacere tutte le cose che avremmo voluto urlare al mondo.
Eravamo privi delle bellezze di un rapporto, non potendo nemmeno sussurraci i nostri sentimenti alle orecchie come due innamorati dovrebbero fare.
Sì, perché io ero innamorato, e nonostante odiassi l’amore, ne ero stato risucchiato al suo interno.
Quella situazione doveva però raggiungere una fine, dovevamo trovare un modo per dire a tutti quanto stavamo bene insieme.
Al diavolo quello che avrebbero detto, al diavolo le battutine, contavamo solo io e lei, insieme.
È successo così, per caso, in un bisticcio tra me ed una mia compagna di classe. Ella mia accusava di essere l’unico colpevole della mia solitudine, dovuta per altro al mio comportamento.
La rabbia iniziò a bollire dentro me, ma la voce rimase calma, ero ormai diventato bravo a nascondere i sentimenti.

«Ma io non sono solo»

Saltai al di là del banco che mi divideva da Lei, e mi sedetti sulla sedia. Il suo sguardo era di paura mista a liberazione. sapeva cosa stavo per fare.
Le presi il viso tra le mani, delicatamente, e dolcemente le chiesi

«Posso?»

Mi bastò un semplice assenso e la baciai, finalmente sotto gli sguardi attoniti di tutta la classe, finalmente senza nascondere quella passione che ora sfociava come un fiume in piena.
Finalmente io e Lei.
I commenti non tardarono ad arrivare, ma noi facemmo finta di nulla, continuando a vivere in quel bacio, in quel mondo, in quella gioia.
Quello stesso pomeriggio Lei lasciò il suo ragazzo, donandoci la tanto attesa possibilità di una storia insieme, una storia vera, una storia pubblica.

Sono passati dieci lunghi anni da quel giorno, ma l’amore che provo per Lei non ha mai avuto cedimenti, tuttora è vivo, come un fiore appena sbocciato.
I lampioni sono spenti e adesso è la luce rossastra di questa meravigliosa alba ad illuminare la stanza.
La stessa stanza in cui io e Lei ci amammo per la prima volta, in quel letto, sotto quelle coperte a quadri verdi e rossi.

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