«Che ore sono? Dove mi trovo? »

E’ la solita frase per iniziare un thriller, un racconto dell’orrore. Molto probabilmente a questa frase seguirà poi un “Flashback” per rendere il lettore parte della storia.
No, non stavolta, quella che vi sto per raccontare altro non è che un trancio della mia vita, la morte di un lato di me, forse il lato migliore, chi può dirlo?
Domenica notte, o meglio, domenica mattina presto.
Sono appena rientrato dal mio solito sabato sera a base di vodka, grappa e tequila, e vi lascio immaginare come ero ridotto.
Per camminare sono costretto ad appoggiarmi a qualsiasi cosa,animata o inanimata, mi si pari davanti; la mia vista ormai si è triplicata e riconoscere la natura solida degli elementi diventa sempre più difficile.
Quand’è che ho iniziato a bere? Quanti anni avevo, 15? Non ricordo, so per certo che ho iniziato a bere per dimenticare, e ora mi ritrovo costretto a bere per divertirmi.

L’alcool aiuta a socializzare e fa abbassare le difese. Da ubriaco fai e dici le cose che da sobrio non diresti mai.”

Sì, ma la domanda sorge spontanea, se non le dico da sobrio, un motivo ci sarà, no?
Quanti messaggi che non dovevo inviare, quanti danni che ho creato solo con un cellulare in mano!
Ma nonostante tutto, ancora oggi, mi ritrovo ad essere “il ragazzo più triste che abbia mai tenuto in mano un Martini”(cit. “Vanilla Sky”)
Mi stendo a letto e inizio a guardare il soffitto, immaginandomi le stelle che, forse, potrei vedere se stessi qualche metro più in alto.
Per un ubriaco le distanze non contano, i muri non dividono, un ubriaco vede la realtà senza quel paraocchi che ci portiamo dietro da sobri.
Ecco il vero motivo per cui ho iniziato a bere!
Chiudo gli occhi, tentando di non pensare al mio stomaco e alla mia testa, ma nel buio inizio a ricreare pensieri che credevo estinti, inizio a pensare a cose e persone che credevo andate.
Nel buio tutto ha una nuova luce.

Valentina, un nome che riecheggia senza sosta nella mia testa, rimbomba e sbatte sulle pareti del cervello implorando di uscire.
Sono 3 anni ormai che la nostra storia è finita, ma nonostante tutto continuo a pensarci, a volerla accanto, a sentire il suo profumo girando per casa.
Proprio l’altro giorno ho trovato la sua lettera, l’unica che mi abbia mai scritto, dove mi diceva di dimenticarla, di tornare indietro nel tempo al giorno in cui ci siamo conosciuti e cancellarlo.
Vorrei poterlo fare, lo vorrei veramente, ma non posso e non voglio.
Credo sia ufficiale, ne sono ancora innamorato.

Apro gli occhi, non so quanto tempo sia passato, ma basandomi sul mio mal di testa direi nemmeno 5 minuti.
Mi alzo e vado in cucina, completamente sudato e a piedi nudi sul marmo freddo.
La vista ha iniziato a stabilizzarsi, ma lo stomaco continua a girare ad ogni mio movimento, ad ogni passo.
Metto su la moca e preparo il limone; una schifezza che ti insegnano gli amici più bastardi, ma che funziona, Dio se funziona.
Il mal di testa passa in uno schiocco di dita e se sei fortunato sbocchi l’anima, il fegato e i polmoni, e così anche lo stomaco è apposto.
Sto bene, o perlomeno cerco di autoconvincermi di star bene; spalanco la finestra e, ancora vestito, mi metto sotto le coperte.
Una brezza fredda si scontra contro il mio viso, l’unica parte del mio corpo ad essere al di fuori delle coperte, e mentre crollo nelle braccia del Dio del sonno, altri pensieri iniziano a martellarmi.

Valentina… l’ho rivista questa sera, in quel Bar che lei odiava e che io ho sempre adorato.
Era abbracciata ad un tipo alto, muscoloso e vestito da pinguino in giacca e cravatta.
E dire che lei ha sempre evitato di uscire con i “figli di papà” e ora, guarda un po’, fa la gatta morta con uno di loro.
Avrei voluto avvicinarmi, anche solo per salutarla, ma sarei venuto meno al nostro patto.
E una parola data non può essere ritirata.
Forse è per colpa sua che questa sera ho bevuto più del solito, forse è per colpa sua che ho iniziato a trattare male chiunque mi si parasse a tiro, forse è sempre e solo colpa sua se ho iniziato a comportarmi come mai mi sono comportato.

Mi sono svegliato ancora più sudato dopo un incubo che non facevo da… esattamente 3 anni.
Io e Lei in bilico su un grattacielo in fiamme, una sola via di fuga per una sola persona.
Salvarmi e condannarla al suo destino, o morire insieme?
Per tutto quel tempo il sogno finiva con noi abbracciati, mentre le fiamme ci inghiottivano, ma questa notte, con un sorriso stampato sul volto, mi sono lanciato.
Mi alzo dal letto e vado verso la scrivania, tirando fuori quell’unico legame con il passato, quell’unico blocco che non mi ha permesso di “buttarmi”.
Quella lettera.
La prendo e con l’accendino la brucio, distruggendo con essa quel lato di me che fino ad oggi avevo protetto dagli attacchi esterni.
Con un soffio spengo le fiamme rimanenti e faccio cadere quel castello di carte della mia autostima.
Sarà facile ricrearlo, ora.
Sto bene, ora non si tratta più di autoconvinzione; prendo il cappotto ed il cappello ed esco di scena, ora più certo che mai che le cose andranno per il verso giusto.
Devo solo smettere di bere.

Cameriere? Un’altra tequila per favore!

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