La pioggia scroscia sulla mia finestra, questa notte come la notte prima.
Sono sempre stato un inguaribile romantico, ritenendo la pioggia il legame migliore per due innamorati; guardare un film abbracciati sotto le coperte di un vecchio divano, cosa c’è di meglio?
Momenti perfetti, indelebili per le persone più meritevoli, per gli altri…
Beh, io non ho nemmeno un divano, ma dopotutto non avrei nemmeno una ragazza con cui condividerlo.
Fisso il foglio bianco di fronte a me, l’ennesimo buco nell’acqua.
Non riuscirò mai a partecipare ad un concorso letterario, sono tutti così restrittivi, così incapaci di liberare lo scrittore che è in me.
Nella scrittura come nella vita sono sempre stato un uomo con le istruzioni, odio sentirmi legato.
Accanto a quel foglio il posacenere con una sigaretta ancora accesa; quante volte ho tentato di smettere, e quante volte ho creduto di avercela fatta, ma alla fine c’è sempre un intoppo, qualcosa che mi costringe a voltarmi e fare un passo indietro.
Un brutto ricordo, forse, o magari il semplice fatto che ho bisogno di farmi del male per sentirmi vivo.
Prendo la sigaretta e faccio l’ultimo tiro di quella droga letale, morte allo stato puro, ma poco importa.
Dicono che quello che non ti uccide ci rende più forte, no?
La spengo e mi alzo spostandomi verso la finestra; la pioggia continua a cadere incessantemente, pesante, ogni goccia sembra uno spillo.
Fuori una donna passeggia tranquillamente con il cane, si ripara sotto un piccolo ombrello giallo, mentre la povera bestia sguazza quasi divertita nelle pozzanghere melmose.
Ogni giorno sembra sempre lo stesso, ogni giorno è sempre uguale, ogni giorno sembra quello buono per sparire e non tornare mai più.
Ho sempre bramato una vita lontano dai confini imposti contro la mia volontà, lontano da questa città che di mio non ha assolutamente nulla.
Anche le persone, ormai, cominciano a stancarmi, iniziano a diventare dei guinzagli, delle museruole.
Branchi di ipocriti pronti a fare il bello e il cattivo tempo, pronti ad usarti e a scagliarti addosso tutti i loro problemi.
Forse è per questo che nell’ultimo periodo mi sono creato una cupola, per ripararmi dal mondo esterno e guardare il mondo con altri occhi, gli occhi di un estraneo.
Cosa ho capito? Ho capito quello che già sospettavo, ma che non volevo ammettere.
Al mondo siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile, nemmeno io.
Le valigie sono pronte all’ingresso, non ho avvertito nessuno, nessuno saprà dove sono e quando tornerò.
O meglio, SE tornerò.
Prendo dalla tasca un’altra sigaretta ed esco, entro nel primo bar con l’insegna “Zona fumatori” ed inizio a scrivere.

«Stessa storia, stesso posto, stesso bar.»

Il mondo lì fuori scorre via veloce, anche sotto la pioggia il tempo non rallenta.
Le parole scappano su questo foglio, inseguite dal nero dell’inchiostro di una vecchia penna biro.
«Chi sono? »
La domanda è semplice, è la risposta ad essere complicata.
Di certo so chi mi credo d’essere, un viandante del passato incapace di tornare nel presente.
Con lo sguardo triste fisso e rimpiango ciò che sono stato, non riuscendo nemmeno a scorgere l’ombra della maschera che porto oggi.
Il concorso ormai non lo ricordo nemmeno più, la penna ha bisogno di scrivere, e scrive i sentimenti che provo in questo momento.
Il cambiamento mi ha sempre spaventato, seppur l’abbia sempre ricercato.
Sono un tipo abitudinario che odia la routine, che anche per un semplice “lavori in corso” entra nel panico.
Alzo lo sguardo verso il bancone e la vedo. Lei, l’unica ragazza che al momento non vorrei abbandonare, l’unica per cui forse varrebbe la pena comprare un divano per vivere quei momenti intensi.
L’unica che non riesco ad avvicinare.
Con quella birra in mano e quel sorriso marchiato a fuoco sul suo viso, è l’unica musa ispiratrice che riesca a mettere in discussione tutte le mie certezze, tutte le mie convinzioni.
Spengo la sigaretta e butto il pacchetto, ormai vuoto.
E’ il terzo oggi.
Ogni volta che la vita mi pone davanti ad un bivio mi agito e ci sono due cose in grado di calmarmi: caffè e nicotina.
E dato che domani devo svegliarmi presto e ho bisogno di dormire, penso che la risposta al mio problema sia ovvia.
In un secondo mi vede e si avvicina; lo sguardo incerto quasi abbia paura a pronunciare quella che potrebbe essere l’ultima parola sbagliata.

«Sei qui da solo?»

La guardo fissa negli occhi, e con un breve cenno annuisco.
Sposta la sedia, appoggia la birra sul tavolo e si siede di fronte a me.

«Ho saputo… Mi dispiace.»

Una risata isterica mi esce da dentro, come al solito c’è sempre qualcuno che non riesce a non impicciarsi della vita altrui.
Forse stavo cercando di mentire anche a me stesso e le sue parole hanno riportato alla luce ciò che volevo nascondere.
La mia voglia di scappare non è nata così, da un giorno all’altro, non è il semplice capriccio di un bambino viziato.
Forse ho sbagliato tutto fin dal principio, con tutti.
Nella vita, come nei racconti, se sbagli l’incipit e lo rendi banale… è la fine.
E qual è l’unica alternativa? Stracciare il foglio e ricominciare da zero, nuova vita, nuove persone, nuovi amici.

«Chiaro, hai saputo. Perché in questa fottuta città non c’è mai nessuno che riesca a farsi i cazzi propri!»

La voce mi si alza di tono, sto urlando e tutto il locale si gira verso di me.
Accartoccio il foglio e me lo metto in tasca, pronto ad uscire.

«Sto bene… sto bene.» le sussurro, ma sembra quasi io stia parlando con me stesso, tentando di autoconvincermi. Mi volto un attimo, con gli occhi lucidi pronti a scoppiare.

«E poi… proprio tu? Proprio ora? Dopo che mi hai abbandonato a me stesso, senza motivo?»

Mi tiro su il cappuccio ed inizio a camminare sotto la pioggia; la città quando piove ha quel tocco di romanticismo, di tranquillità.
Al diavolo, è ora di ammetterlo, sono un vigliacco.
Non riesco ad affrontare i problemi e per questo scappo, cerco la soluzione più facile invece che la soluzione migliore.
La verità e che nell’ultimo periodo tutto ha iniziato ad andare per il verso sbagliato.
Mio padre è morto, ho perso il lavoro, l’unica ragazza che io abbia mai amato e gli unici veri amici che potessero confortarmi.
E allora scappo, mi rifugio nella nicotina in attesa del “treno della salvezza” di domani.
Solo ora mi accorgo che Lei mi sta correndo dietro, mi raggiunge con il fiatone, e dopo qualche secondo inizia quello che pare essere un discorso interminabile.

«Io lo so come ti senti, ci sono passata anche io. So che non sono la persona più adatta a confortarti in questo momento, ma forse sono la persona che ti conosce meglio.
So quello che stai pensando di fare, sei un tipo impulsivo e avrai sicuramente preparato già tutto per la tua fuga per “ricominciare da zero”, o perlomeno questo è quello che pensi tu.
Per quanto tu possa provare ad essere diverso, alla fine tornerai ad essere sempre quello che sei.
Le persone nuove non aiutano, da soli non si cambia mai.
Nella vita, come nei racconti, un incipit sbagliato non vuol dire necessariamente la fine di tutto, basta solo riscriverci sopra, correggerlo, cambiarlo di posto, aggiungerci colore»

«Ora so perché mi sono innamorato di te» le sorrido, ma il suo viso rimane impassibile.
«Allora parti da questo e scopri che in realtà mi hai idealizzata come la ragazza perfetta che non sono.
Perché non lo sono, ho un sacco di difetti che i tuoi occhi innamorati non riescono a scorgere, e prima riuscirai a capirlo, prima potrai trovare l’uscita da questo periodo buio.»

Si volta e lentamente si avvia nuovamente verso quel bar, lasciandomi sì un senso di vuoto dentro, ma allo stesso tempo anche una grande convinzione, la convinzione di poter ricominciare.
Mi siedo sotto un portico, tiro fuori la penna e quel foglio accartocciato, iniziando a scrivere la mia nuova vita.

« La mia fuga dovrà aspettare, almeno fino a quando non sarà veramente necessaria.»

Lentamente anche la pioggia si ritira, lasciando il posto a quella luna splendente che dona a tutto una nuova luce.

La luce della speranza.

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1 commento

  1. sei un genio, è stupendo il racconto e la musica è stupenda, ed è perfetta! *_* bravissimo cicciput, fortuna che ci sei tu 🙂 te quiero!

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