L’ascensore raggiunge il piano terra preceduto da quella campana dal suono quasi scarico.
Quando le porte si aprono le luci al suo interno cominciano a lampeggiare, ininterrottamente,  quasi come in discoteca, solo più terrificanti.
A fatica la ragazza spinge il tasto per il terzo piano e le porte si richiudono dinnanzi a lei, lente, troppo lente, ma dopotutto la morte non ha fretta.
Dopo qualche sussulto l’ascensore si muove,  partendo verso la destinazione prestabilita, o perlomeno questo è quanto ci si aspetterebbe .
In un secondo tutte le luci si spengono di colpo, il vetro dietro la ragazza cade a terra, rompendosi in frantumi e la corda che dovrebbe reggere l’ascensore si spezza in due punti, facendolo così precipitare nel vuoto.
La giovane urla, tentando invano di chiamare aiuto con l’apposito pulsante, ma le sue grida sono coperte dall’orrido frastuono del metallo che stride contro il muro.
Uno schianto, qualche calcinaccio ribelle che cadde solitario, poi la pace.
E’ il 23 agosto del 2003, nessuno saprà mai cosa successe veramente questa notte.
Il caso verrà chiuso come “Incidente dovuto alla cattiva manutenzione degli impianti” e l’ascensore verrà riparato.
Ma questo non basterà a fermare “La bestia”.

Due anni dopo.

Erika camminava lenta ed i suoi passi erano illuminati dai lampioni posti su ambedue i lati della strada, mentre la luna era coperta da un fitto intrecciarsi di nuvole  che ne lasciavano libero soltanto qualche spiraglio.
Dopo una serata in compagnia dei suoi amici, quello di cui aveva bisogno in quel momento era un sonno ristoratore nel suo letto, ma qualcosa stava per movimentare quella serata.
A cento metri  dal suo palazzo quattro macchine della polizia avevano sbarrato le strade, impedendo a chiunque di oltrepassare quel nastro che delimitava la zona del crimine.
Alle sue spalle milioni di persone che bramavano soltanto una storia da poter raccontare ai propri amici , seguita dal fatidico “Io c’ero”; di certo la maggior parte di loro fino a qualche minuto prima era ancora nel mondo dei sogni, ma la curiosità riesce a svegliare anche dal sonno più profondo..
Dopo un breve dialogo con il poliziotto assonnato, Erika riuscì a superare quel posto di blocco e a dirigersi verso la sua abitazione, comprendendo finalmente il motivo di tanta agitazione da parte delle forze dell’ordine.
L’ascensore era crollato, per la seconda volta in due anni, sempre nella stessa data:  il 23 agosto; per questo motivo la polizia riaprì il caso con l’ipotesi di “omicidio seriale”.
Questa volta la vittima era un giovane di 26 anni, abitava al piano superiore ed era prossimo alla laurea.
Era un ragazzo tranquillo, non aveva mai organizzato festini “sesso, droga e rock&roll” nel suo appartamento, e nessuno si era mai lamentato di cigolii molesti durante la notte.
Chi mai lo avrebbe voluto ucciderlo?
Dopotutto, però, anche la prima vittima era una ragazza tranquilla, seppur per lei non si potesse parlare di assenza di cigolii e urla moleste: era la cheerleader del liceo statale, aveva una vita impegnata e a casa tornava soltanto per la notte.
Erika raggiunse il suo appartamento, girò tre volte la chiave ed entrò.
A stento soffocò un urlo ritrovando la casa completamente sottosopra, molto più dello stato in cui era di solito; qualcuno era stato lì.
La televisione era accesa ed illuminava la stanza buia, il rumore dell’assenza di segnale poteva sembrare la colonna sonora di un capolavoro di Stanley Kubrick.
In cucina la carta da parati era strappata in modo da sembrare quasi l’unghiata di un animale feroce di dimensioni enormi.
Erika si sedette su quello che rimaneva del divano e si prese la testa tra le mani, iniziando a pensare.
Qualche giorno prima l’amministratore di quel condominio le aveva raccontato una storia o leggenda che dir si voglia.

10 anni prima, nell’appartamento sopra al suo viveva un certo Frank, un pazzo che la gente aveva soprannominato “Frank Hellface” per il suo volto sfigurato.
Aveva fatto la seconda guerra mondiale e un tedesco gli aveva lasciato una firma indelebile sul volto, forse era quella la causa scatenante della sua pazzia.
Girava sempre per il condominio in pigiama, sul volto portava sempre una maschera di carnevale con le fattezze di un cane ed il rumore delle sue ciabatte trascinate sul marmo freddo riecheggiava in tutto il palazzo.
Visse in quell’appartamento 2 anni, fino a quel tragico incidente; una trave del suo appartamento cedette, facendo crollare parte del soffitto e uccidendolo sul colpo.
Da allora gli altri condomini affermavano di vedere il suo fantasma girovagare nel condominio, di trovarsi la casa sottosopra e la sua maschera di cane sul letto.
Ogni tanto alcuni dicevano persino di sentire ancora il rumore di quelle ciabatte strofinate sul pavimento, altri erano persino convinti che dietro ai due omicidi ci fosse lo spirito tormentato del “povero” Frank.

Pochi giorni dopo l’amministratore era morto nella notte; le cartelle cliniche parlavano di infarto, ma la maggior parte dei condomini continuava vederla come una morte dovuta al paranormale.
Erika si diresse a passo lento verso la camera da letto, sapeva cosa avrebbe trovato.
Prese tra le mani quella maschera canina e la gettò nel cestino; nessuna superstizione l’avrebbe mai spaventata abbastanza, forse.
D’un tratto una folata di vento gelido irruppe nella stanza facendo aprire tutte le finestre con un botto, la televisione si spense e tutte le luci della casa cominciarono ad accendersi ad intermittenza; ora era l’abbaiare di un cane inferocito la colonna sonora di quella serata che a poco a poco si stava scaldando.
Fumo e fiamme iniziarono a riempire la casa, fumo e fiamme da ogni lato, ma nonostante tutto Erika riuscì a scorgere il profilo dell’artefice di quel disastro.
Hellface.
Con una mano sulla bocca per non respirare il fumo si gettò a terra e strisciando cercò di raggiungere l’uscita più vicina, quando il piede di Frank la spinse a terra costringendola a fermarsi.

«L’abbaiare di un cane porta solo guai. Lo so perché il giorno in cui è morto mio fratello un cane stava abbaiando.
Nessuno si è mai accorto che al cadavere mancava l’unica cosa che ci differenziava: la cicatrice di guerra

Erika alzò il volto nello stesso istante in cui Frank si sfilò la maschera, mostrando quell’orrendo sfregio che gli divideva la faccia.
Il fumo stava cominciando ad entrarle nelle narici e questo la fece iniziare a tossire senza sosta, mentre Frank continuava a bloccarle la via di fuga.

«Lentamente mi sto costruendo una leggenda, un mito. Tutti iniziano ad avere paura di me invece di compatirmi.
Il fantasma Hellface continuerà a spaventare questo condominio finché io vivrò.
Per colpa di un errore mio fratello è morto, ora morirete per un vostro errore. L’ascensore, la casa in fiamme, l’infarto… Sarà tutto scritto nella storia. »

Gli occhi di Erika cominciavano a lacrimare quando scorse, poco distante, un vetro abbastanza grande e appuntito proveniente da una delle finestre rotte.
Senza pensarci due volte allungò il braccio e lo spinse con forza nel piede del suo aggressore; dal sangue che ne sgorgava fuori era chiaro che quell’uomo non era un ectoplasma.
La donna si alzò e corse fuori dal suo appartamento, gettandosi giù per le scale e urlando a squarciagola alla ricerca di aiuto.
La polizia se n’era appena andata e tutti i condomini, spaventati, avevano preferito passare la notte nel motel più scadente della città.
Era sola, sola contro la morte.
Il tempo ormai pareva essersi fermato, quando iniziò a provare un dolore lancinante provenire dalla gamba destra.
Si girò di scatto, prima di iniziare a rotolare giù per gli altri piani di scale, e vide il volto pieno di dolore di Frank con una pistola fumante puntata dritta nella sua direzione.
Erika si strinse le mani sulla ferita mentre le sue orecchie erano in ascolto del terrificante suono di quelle ciabatte strisciate sul marmo mentre scendevano lentamente le scale.
Di fronte a lei le porte aperte dell’ascensore ancora guasto dovuto all’ultimo omicidio; sotto di lei c’erano ancora 3 piani, una caduta da quell’altezza poteva essere fatale e fu lì che ad Erika venne in mente l’unica idea possibile.
Frank aveva appena raggiunto l’ultimo gradino e stava per puntarle la pistola alla tempia, quando la ragazza gli si aggrappò al piede sanguinante e lo trascinò con sé,  giù in quel viaggio di sola andata, sacrificandosi per mettere fine a quell’inutile spargimento di sangue.
Sul volto della ragazza c’era un sorriso di sfida, mentre Frank cercava invano di aggrapparsi alla corda dell’ascensore per salvare la sua miserabile vita.
Lentamente caddero, diventando sempre più piccoli, ed il loro urlo sempre più lontano era coperto soltanto da quei cani nel cortile che abbaiavano senza sosta, quasi anche loro fossero lì per godersi quello spettacolo finale.
Un tonfo, ossa rotte, poi la pace per qualche minuto prima dell’intromettersi  della sirena dei pompieri.

Una nuova leggenda iniziò a circolare da quel giorno, quella della ragazza che aveva ucciso il fantasma di Hellface sacrificando la sua vita per quella di sconosciuti.
Nessuno seppe mai se quella storia avesse un fondamento di verità, non trovando mai il corpo del presunto omicida seriale.

E anche quella notte finì, mentre i cani abbaiavano al nuovo giorno e la luna sparì, coperta dalle nuvole e da quel sangue innocente che ancora continuava a sgorgare.

Potrebbe anche interessarti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.