Perché?

Una domanda semplice, quasi banale, che ci chiediamo tutti fin dall’alba dei tempi.
Iniziamo da bambini quando siamo alla ricerca di risposte sul funzionamento della vita.

Spesso è un modo come un altro per chiedere spiegazioni o affermazioni che ai nostri occhi paiono improbabili.

Crescendo questa semplice parola comincia a racchiudere al suo interno numerosi significati, passando quindi dalla semplice domanda ad un insieme di emozioni.
Non abbiamo nemmeno bisogno di aggiungere altro, il “Perché” riferito al contesto ha tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Ora sono qui, con le chiavi in mano a fissare la porta che qualche secondo fa è stata sbattuta con forza, e mi chiedo “Perché?”.

Tutto è cominciato nel momento più felice della mia vita.

Paradossale quanto ironico come i peggiori finali nascano dalle prefazioni migliori, nell’esatto momento in cui credi che la felicità sia eterna.

Avevamo appena trovato casa, l’avevamo arredata ed organizzata secondo le esigenze di entrambi, avevamo perfino cambiato la residenza.
Tutto perché dentro di noi covavamo il subdolo pensiero che ci siano cose che sono destinate a durare per sempre.

Qualcosa però è cambiato, la routine ha iniziato a schiacciarci al suolo peggio della forza di gravità, tanto da vivere due vite differenti sotto allo stesso tetto.

Ognuno aveva le proprie passioni, ma nessuno dei due è mai stato abbastanza forte da cedere, ad amalgamare la propria vita con quella dell’altro per trovare un punto di equilibrio.
Cinque anni distrutti da tre mesi di convivenza e dall’orgoglio.

Si impara dai propri errori, dicono, ma io dai miei ho imparato semplicemente a farne di più grandi.
Non torno mai indietro sulle mie azioni, raramente ammetto di essere in torto e soprattutto non cedo mai, specie se ho la certezza di avere la verità in tasca.
Sono il ragazzo che nessuna donna vorrebbe mai avere accanto.

Lei però era diversa, o perlomeno lo sembrava, aveva imparato ad accettare queste mie sfaccettature cercando di cambiarmi, di rendermi migliore.

Sfortunatamente un vaso rotto non potrà mai tornare come nuovo, e seppur tu possa provare ad aggiustarlo, lo spazio formato tra le varie crepe resterà sempre visibile ed il rischio di farlo cadere nuovamente in frantumi sarà ogni volta più grande.
Certo, esisterebbe la tecnica giapponese del “Kintsugi”, ma il significato non cambia.
Le crepe doneranno bellezza in certi casi, ma rimane comunque impossibile tornare indietro.

Io sono un vaso nato già rotto, e lei mi aveva scelto comunque.

Parte del motivo per cui ora mi ritrovo qui, con queste chiavi in mano, a fissare il vuoto, è anche la grande fiducia che Lei aveva riposto nella mia “guarigione”.

Nella mia mente lei è ancora lì sull’uscio della porta, in attesa di quella parola che però sa benissimo non arriverà mai.

“Scusa.”

Vedo i suoi occhi trafitti da lacrime, dal dolore e dallo sconforto.
E’ delusa, ma più che da me, dal suo fallimento, aveva riposto grandi speranze in questa storia ed io non sono riuscito a concretizzarle.

Sono ormai quasi sicuro si fosse innamorata di un personaggio fantastico, mi aveva guardato dentro e aveva intravisto soltanto l’idea di un futuro felice.
Vedeva in me quello che sarei potuto diventare, ma che non volevo essere.
Che non potevo essere.
Ero un paziente sotto la sua ala e il non avermi curato, forse, rappresenta dal suo punto di vista la più grande sconfitta.

Appendo le chiavi all’ingresso dove credo rimarranno per un bel po’, apro la porta e la vedo ancora lì, a due passi da me che lentamente scende le scale.
Non si volta indietro, me l’ha sempre detto.

Una decisione presa rappresenta un punto fisso.

Avrei ancora la possibilità di giocarmi le mie ultime carte, urlarle di tornare da me e che prometterò di cambiare, ma la mia mente blocca il flusso delle parole lasciandomi in silenzio a fissarla mentre lentamente sparisce.

Numerosi pensieri mi affollano la mente, dal possibile amante all’ipotesi che non mi abbia mai amato.
Nonostante tutto, il motivo che sia tutta colpa mia non mi sfiora nemmeno.

E ora che la mia mente vaga, la domanda è solo una.

“Perché?”

Tutto ad un tratto, la risposta mi compare davanti agli occhi.

“Tutto ciò che inizia ha anche una fine, e spesso non è il finale che ti aspetteresti. “

Rientro in casa, chiudo la porta e premo il tasto “Rewind” della mia mente, rivivendo la felicità ancora una volta, provando un infinito dolore un’ultima volta.

Perché?
Perché sì.

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