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La pioggia cade fitta sulla città. Sicuramente vi sarà capitato, quando eravate bambini, di sentire la frase “la pioggia non è altro che il pianto degli angeli”. Dev’essere successo qualcosa di davvero grave, perché la pioggia continua a scendere senza esitazione, quasi sia intenzionata a durare per giorni.
Pochi sono i fortunati ad essersi premuniti di un ombrello, e questi camminano lenti, quasi la vita per loro non scorra più; gli altri, forse i più stolti o semplicemente quelli che avevano sperato che il tempo sarebbe migliorato, beh… loro corrono, cercando di coprirsi con il minimo oggetto che passi tra le loro mani.
Mandrie di studenti con libri in testa, libri scolastici, che daranno loro una giustificazione altamente credibile riguardo i compiti per domani.

“Si è bagnato tutto sotto la pioggia, scusi prof, glieli porto la settimana prossima”

Vecchi, rintanati in piccoli bar a sorseggiare bicchieri di vino in compagnia di quei pochi amici conosciuti al circolo. Vecchi, che spesso trovano nel bere l’unica soddisfazione alla perdita delle cose più care della vita.
La luna, ormai stufa di questa serata, si nasconde dietro una montagna lasciando la città nella quasi completa oscurità.

Ci troviamo in Giappone, un piccolo bar in una piccola città. Fuyuko é l’unica ragazza tra una miriade di uomini. É strano che una donna non sia accompagnata, specialmente in un luogo prevalentemente maschile.
Davanti a sé, su di un tavolino, é poggiato un bicchiere di “Cuba Libre”, ma non pare averne bevuto nemmeno un sorso.
Con gli occhi spenti, gli occhi di una ragazza stanca di una vita monotona, senza nessun colpo di scena, si spinge indietro sulla sedia e si guarda intorno.
Il locale é molto iluminato, le pareti sono colorate di un giallo che con fatica puoi non notare, e su di esse vi sono appesi numerosi posters. Il nome “Penicillin” compare sulla maggior parte di essi e forse si tratta di un gruppo musicale, nonostante Fuyuko non l’abbia mai sentito nominare. Non c’era da meravigliarsene, vive in Giappone dalla sua nascita, ma si é sempre distaccata da tutto ciò che fosse di natura giapponese. Ha imparato l’inglese per disfarsi della sua lingua madre, non mangia mai il Sushi e il suo unico e vero amico é l’italiano che ha aperto un ristorante nel centro di quella città. Sua madre é morta, il suo ragazzo l’ha lasciata e suo padre é sempre via per lavoro. Alla domanda “Come stai?” risponde sempre “Vivo perché devo”.
Sulle sue ginocchia vi era un Diario, lo sfogo di tutti i suoi sogni infranti, l’unico che potesse ascoltare senza controbattere, l’unico a cui confidare ogni singolo problema.

“Caro Diario… E’ ormai passato un anno dalla morte di mia madre, ma ripensandoci mi sembra quasi ieri. Riesco ancora a rivivere la sofferenza provata quel giorno in ospedale. I medici che non intendevano dirmi nulla perché non ero maggiorenne. Per Dio! Ero diciassettenne allora, l’unica parente stretta di mia madre. Non mi hanno nemmeno permesso di stringerle la mano mentre lentamente si allontanava da questa vita.
Ogni singolo giorno della MIA vita qualcosa va storto, qualcosa non mi permette di vivere con un sorriso sulle labbra … Ma a che cosa vuoi che sorrida? Ieri mi ha persino lasciata Satoshi. Te lo ricordi? Quello della frase “Stai tranquilla piccola mia… Starò per sempre insieme a te, ti aiuterò in ogni momento di bisogno, sarò come il tuo angelo custode”.
Beh, mi ha lasciata perché diceva che era stufo delle mie continue lamentele… É da ieri mattina che non lo vedo; mi ha chiamata nel pomeriggio per darmi la buona nuova e fine. Un punto a quel capitolo.
Diario… Io non so più cosa fare… sento che lentamente la mia vita sta giungendo al termine. O forse è solo un mio desiderio per mettere fine a tutta questa tortura… Sento che in questo momento potrei tornare a casa, mettermi a letto e non svegliarmi mai più. Nel caso questo fosse ciò che accadrà… Beh addio Diaro. E’ buffo, non ti ho nemmeno mai dato un nome, quasi non volessi “legarmi” troppo a te… Ma il fatto è che sei stato un grande amico, sebbene non fossi reale… Addio, e grazie di tutto!
Fuyuko”

Ripone il diario nella sua borsetta rossa, dalla quale non si separa mai, ed esce dal locale. Gli sguardi attoniti di tutti sono su di lei per qualche secondo, poi tutto torna alla normalità.
La pioggia pare cadere in modo ancora più fitto di qualche ora prima.
Fuyuko ha dimenticato l’ombrello, ma questo non pare turbarla più di tanto. A passo lento procede verso casa, lasciando che la pioggia la purifichi; il viso basso, come quello di un fedele, in chiesa, che si vergogna di confessare i propri peccati al parroco.
Quella di Fuyuko pare una storia senza via d’uscita, senza che alcun avvenimento possa allietare la vita di quella giovane e bella ragazza.
Ma poi ecco, come il colpo di scena di un film che stravolge tutte le nostre convinzioni, quella stessa ragazza si scontra con un giovane, un ragazzo che, a sua insaputa, le cambierà la vita.
Non ci sono parole per descrivere l’imbarazzo provato dai due in quel momento, specialmente da Fuyuko che gesticola molto, cercando di scusarsi.
Solo allora si accorge di quanto sia bello, con quella sua lieve barbetta che spunta in modo irregolare sul suo viso.
Lui le sorride e la copre sotto il suo ombrello.
«Non c’è alcun problema. Comunque mi chiamo Hisashi»
Lei vorrebbe ricambiare il sorriso, ma qualcosa dentro di sé la blocca. Nella sua vita ha sofferto molto e non riesce ad esporsi più di quanto vorrebbe. Senza guardarlo negli occhi riesce solo a dire “Fuyuko”
«Fuyuko… posso offrirti una tazza di caffé caldo? Anche perché mi pare tu stia tremando dal freddo!»
Non pare aspettare nemmeno la risposta, ed insieme entrano nel locale, lo stesso bar dove fino a qualche minuto prima Fuyuko si era rintanata per pensare. Il barista proprio in quel momento sta portando via il suo bicchiere di Cuba ancora pieno.
Tutto il locale pare fissarli mentre si avvicinano ad un tavolo, ma nel loro sguardo ora c’è qualcosa di diverso, come se in un qualche modo fossero felici per lei… che fosse la sua immaginazione?



Continua con “Inchiostro giapponese”

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