Il ponte Romano, erano passati dieci anni dall’ultima volta che ci ero salito, ma nulla era cambiato da allora, non io, non i miei sentimenti, non la mia situazione.
Sono sempre stato incapace di vivere rischiando, la mia è stata una vita basata sulla routine quotidiana e su di un fantomatico limite invalicabile.
Non mi ero mai posto il problema, ma forse ero io stesso il limite che tanto volevo superare.
Ricordo ancora quella sera di tanti anni fa, quella sera con quella ragazza… Martina.

«Forza, ti dico che ne vale la pena!»

Mi aveva trascinato con l’inganno su quella strada, così lunga da sembrar quasi di aver scalato chissà quale montagna.
Se devo essere sincero però… non mi dispiaceva affatto. Insieme stavamo bene, sembravamo giovani scout ed il nostro sentiero era illuminato solo dalla luce della luna. Quella sera poi il cielo era senza nuvole e una miriade di stelle le faceva compagnia aiutandola a far luce nella notte.
Camminavamo senza sosta, scorgendo lati di quella città che per anni mi erano stati nascosti;  tra una strada acciottolata e una risata portavamo alla luce vecchi ricordi della nostra gioventù.
Ricordi belli, brutti, da dimenticare, poco importava. Ricordi. Era da tanto che non ripensavo al mio passato.
Già, il mio passato.
Una signora passeggiava per quelle strade con i suoi cagnolini non comprendendo quei sorrisi di stupore impressi a fuoco sui nostri visi.
Quella era la sua routine, il suo mondo, non il nostro.
Ci abbiamo messo un po’ a raggiungere la cima, ma devo ammetterlo, ne è valsa davvero la pena.
Lo spettacolo che si poteva scorgere da sopra quel ponte era immenso, il rumore di quella piccola cascata mi rilassava e distruggeva ogni minima domanda che mi affliggeva.
In quel momento quel paesaggio era il più bello e rilassante che potessi vivere.
Il sorriso di Martina, poi, era lo sfondo perfetto per quel paesaggio, mi ridonava l’allegria ormai sepolta dal tempo. Lì aveva trovato la sua oasi di pace e voleva condividerla con me.
Eravamo li, io e lei a condividere la pace, il silenzio, la notte.
La mia mente iniziò a vagare nei meandri del mio passato, in un viaggio senza fine alla ricerca della causa del mio dolore.

Solo ora, diviso tra la vita e la morte, capisco quello che non va, capisco il vero problema.

«Mi è venuto in mente un pensiero un po’ macabro.» le dissi
«Spara.»
«Lo scrittore assassino dentro di me vede in questo ponte la scena perfetta per un suicidio.»
ci mise un po’, ma dopo un attimo di incertezza mi rispose
«Forse… fosse più alto, non credi?»

Dopotutto, le avrei mostrato quanto si sbagliava.
Guardai in basso, rispecchiandomi nell’acqua limpida, iniziando a scorrere la mia vita quasi fosse un vecchio film, fotogramma dopo fotogramma. Era incredibile, pensai, come dopo una cascata l’acqua potesse sembrare cosi calma e piatta.
Per tutti quegli anni avevo vissuto affezionandomi troppo facilmente alle persone, alcune diventavano quasi dei modelli da imitare, degli appigli.
Ho capito troppo tardi che se in questa vita dipendi da qualcuno… sei fottuto.
Sentivo su di me il peso della responsabilità, le persone correvano da me quando avevano un problema, sparivano quando ero io ad avere bisogno di loro, molte vivono accanto a te per anni senza mai mostrarsi per quello che sono realmente, ed è proprio quando decidi di fidarti, di aprirti che ti ritrovi sempre irrimediabilmente solo.
Forse era questo il motivo per cui non ho mai avuto veri amici, a parte lei.
Lei che mi capiva al volo, che sapeva cosa volessi dire prima ancora che aprissi la bocca, uno sguardo bastava per intendesi, e anche se spesso non ci vedevamo o sentivamo, sapevo che lei era li con me. Lei che, forse, ho sempre desiderato diventasse qualcosa più che una semplice amica, lei che mi confortava in ogni mio momento negativo.
E di momenti negativi ce ne sono stati, eccome se ce ne sono stati.
Senza accorgermene ero avanzato fino alla ringhiera di quell’antico ponte, mentre la mia mente era afflitta da un vortice infinito di pensieri bui e le gambe cercavano una via di fuga da quelle tenebre.
Quando ormai ero pronto per quel balzo in avanti, una voce mi costrinse a bloccarmi, quell’unica voce capace di distogliermi da qualsiasi tipo di pensiero mi passasse anche solo per l’anticamera del cervello.
Martina.

«Fermati!»

Non mi voltai nemmeno, ma di fronte a lei, non riuscii più a saltare, come se la sua presenza avesse distrutto la mia forza di volontà.
La sentii piangere, il suo pianto ormai mi era familiare, l’avrei riconosciuto tra mille.
Mi rivenne alla mente il suo sorriso e la sua voglia di lottare e sfuggire a quel passato che la bloccava dall’andare avanti. Era un libro aperto per me, come io sapevo di esserlo per lei.
Lei era come me, aveva troppo bene dentro e lo regalava agli altri.
Fu allora che mi sorpresi con il viso rigato dalle lacrime, come un bambino che si è appena sbucciato un ginocchio contro il cemento.
Non piangevo mai, non ce l’ho mai fatta, ho sempre pensato che il pianto renda deboli e facile preda degli attacchi esterni, ma in quel momento non riuscivo più a smettere. In quella realtà mi sentii spogliato di tutte le mie protezioni ed i miei sentimenti pian piano emergevano senza che io me ne accorgessi.
Mi voltai guardandola dritta negli occhi; il trucco era colato formando lunghe righe nere sopra il suo viso, le mani le tremavano come sapevo facessero quando era agitata.
Tutto era identico, nulla era cambiato, eccetto una cosa… Il suo sguardo era sempre stato completamente vuoto, era in grado di apparire felice agli occhi di tutti mentre la tristezza le scorreva fin dentro l’anima.
In quel momento i suoi occhi, seppur inondati dalle lacrime, sprizzavano vita da tutti i pori; le alzai il viso provando un’irrefrenabile voglia di baciarla, ma sarebbe stato un bacio dall’amaro sapore dell’addio.
Iniziò ad urlarmi parole d’odio, di rabbia, parole che le premevano dentro da così tanto da aver acquisito un’intensità veramente elevata. Non erano indirizzate a me, ma capivo perché ero io a doverle sentire…non voleva perdermi.
Aveva ragione ad essere furiosa, la vita con lei era stata ingiusta, ora più che mai avendo trovato in me quell’appiglio di cui sentiva tanto il bisogno.
Mi voltai, pronto ad eseguire l’atto finale del mio copione, quando la sua mano fredda mi trattenne, trascinandomi in quel bacio negato di qualche attimo prima.
Il freddo di quella notte scomparve sostituito da un calore immane provenire da dentro i nostri corpi; le mie mani cercavano il suo viso, così perfetto, così lineare, mentre per il mondo eravamo un’unica entità. In un attimo tutto quello che avevo pensato di fare, tutta la mia voglia di cancellare me stesso svanirono, lasciando dentro me solo la consapevolezza di quelle labbra morbide dal sapore di sale e di quei bellissimi occhi bagnati di lacrime.
Le cascate divennero la colonna sonora di quel bacio, quel ponte il luogo dove ci amammo per la prima volta, dove finalmente entrambi avevamo trovato qualcuno che poteva far sbiadire quel maledetto passato.

Ci sono storie che non devono necessariamente finire male, e mentre le stelle ci facevano da spettatori riscrivemmo insieme quel capitolo, che di certo non sarebbe stato l’ultimo.

«Comunque… avevi ragione.»
«Su cosa?»
«Il Ponte…. Troppo basso…»

E tra uno sguardo un po’ truce ed un accenno ad un sorriso sul suo volto, ce ne andammo dal quel ponte, da quelle stradine che forse sarebbero diventate presto il mio mondo, il nostro mondo.

Il ponte Romano, erano passati dieci anni dall’ultima volta che ci ero salito, ma nulla era cambiato da allora, non io, non i miei sentimenti, non la mia situazione.
Sono sempre stato incapace di vivere rischiando, la mia è stata una vita basata sulla routine quotidiana e su di un fantomatico limite invalicabile.
Non mi ero mai posto il problema, ma forse ero io stesso il limite che tanto volevo superare.

Ricordo ancora quella sera di tanti anni fa, quella sera con quella ragazza… Martina.

«Forza, ti dico che ne vale la pena!»

Mi aveva trascinato con l’inganno su quella strada, così lunga da sembrar quasi di aver scalato chissà quale montagna.
Se devo essere sincero però… non mi dispiaceva affatto. Insieme stavamo bene, sembravamo giovani scout ed il nostro sentiero era illuminato solo dalla luce della luna. Quella sera poi il cielo era senza nuvole e una miriade di stelle le faceva compagnia aiutandola a far luce nella notte.
Camminavamo senza sosta, scorgendo lati di quella città che per anni mi erano stati nascosti; tra una strada acciottolata e una risata portavamo alla luce vecchi ricordi della nostra gioventù.

Ricordi belli, brutti, da dimenticare, poco importava. Ricordi. Era da tanto che non ripensavo al mio passato.

Già, il mio passato.
Una signora passeggiava per quelle strade con i suoi cagnolini non comprendendo quei sorrisi di stupore impressi a fuoco sui nostri visi.

Quella era la sua routine, il suo mondo, non il nostro.
Ci abbiamo messo un po’ a raggiungere la cima, ma devo ammetterlo, ne è valsa davvero la pena.
Lo spettacolo che si poteva scorgere da sopra quel ponte era immenso, il rumore di quella piccola cascata mi rilassava e distruggeva ogni minima domanda che mi affliggeva.

In quel momento quel paesaggio era il più bello e rilassante che potessi vivere.

Il sorriso di Martina, poi, era lo sfondo perfetto per quel paesaggio, mi ridonava l’allegria ormai sepolta dal tempo. Lì aveva trovato la sua oasi di pace e voleva condividerla con me.

Eravamo li, io e lei a condividere la pace, il silenzio, la notte.
La mia mente iniziò a vagare nei meandri del mio passato, in un viaggio senza fine alla ricerca della causa del mio dolore.

Solo ora, diviso tra la vita e la morte, capisco quello che non va, capisco il vero problema.

«Mi è venuto in mente un pensiero un po’ macabro.» le dissi

«Spara.»

«Lo scrittore assassino dentro di me vede in questo ponte la scena perfetta per un suicidio.» ci mise un po’, ma dopo un attimo di incertezza mi rispose

«Forse… fosse più alto, non credi?»

Dopotutto, le avrei mostrato quanto si sbagliava.
Guardai in basso, rispecchiandomi nell’acqua limpida, iniziando a scorrere la mia vita quasi fosse un vecchio film, fotogramma dopo fotogramma. Era incredibile, pensai, come dopo una cascata l’acqua potesse sembrare cosi calma e piatta.
Per tutti quegli anni avevo vissuto affezionandomi troppo facilmente alle persone, alcune diventavano quasi dei modelli da imitare, degli appigli.
Ho capito troppo tardi che se in questa vita dipendi da qualcuno… sei fottuto.
Sentivo su di me il peso della responsabilità, le persone correvano da me quando avevano un problema, sparivano quando ero io ad avere bisogno di loro, molte vivono accanto a te per anni senza mai mostrarsi per quello che sono realmente, ed è proprio quando decidi di fidarti, di aprirti che ti ritrovi sempre irrimediabilmente solo.

Forse era questo il motivo per cui non ho mai avuto veri amici, a parte lei.

Lei che mi capiva al volo, che sapeva cosa volessi dire prima ancora che aprissi la bocca, uno sguardo bastava per intendesi, e anche se spesso non ci vedevamo o sentivamo, sapevo che lei era li con me. Lei che, forse, ho sempre desiderato diventasse qualcosa più che una semplice amica, lei che mi confortava in ogni mio momento negativo.
E di momenti negativi ce ne sono stati, eccome se ce ne sono stati.

Senza accorgermene ero avanzato fino alla ringhiera di quell’antico ponte, mentre la mia mente era afflitta da un vortice infinito di pensieri bui e le gambe cercavano una via di fuga da quelle tenebre.

Quando ormai ero pronto per quel balzo in avanti, una voce mi costrinse a bloccarmi, quell’unica voce capace di distogliermi da qualsiasi tipo di pensiero mi passasse anche solo per l’anticamera del cervello.

Martina.

«Fermati!»

Non mi voltai nemmeno, ma di fronte a lei, non riuscii più a saltare, come se la sua presenza avesse distrutto la mia forza di volontà.
La sentii piangere, il suo pianto ormai mi era familiare, l’avrei riconosciuto tra mille.

Mi rivenne alla mente il suo sorriso e la sua voglia di lottare e sfuggire a quel passato che la bloccava dall’andare avanti. Era un libro aperto per me, come io sapevo di esserlo per lei.

Lei era come me, aveva troppo bene dentro e lo regalava agli altri.
Fu allora che mi sorpresi con il viso rigato dalle lacrime, come un bambino che si è appena sbucciato un ginocchio contro il cemento.

Non piangevo mai, non ce l’ho mai fatta, ho sempre pensato che il pianto renda deboli e facile preda degli attacchi esterni, ma in quel momento non riuscivo più a smettere. In quella realtà mi sentii spogliato di tutte le mie protezioni ed i miei sentimenti pian piano emergevano senza che io me ne accorgessi.
Mi voltai guardandola dritta negli occhi; il trucco era colato formando lunghe righe nere sopra il suo viso, le mani le tremavano come sapevo facessero quando era agitata.

Tutto era identico, nulla era cambiato, eccetto una cosa… Il suo sguardo era sempre stato completamente vuoto, era in grado di apparire felice agli occhi di tutti mentre la tristezza le scorreva fin dentro l’anima.

In quel momento i suoi occhi, seppur inondati dalle lacrime, sprizzavano vita da tutti i pori; le alzai il viso provando un’irrefrenabile voglia di baciarla, ma sarebbe stato un bacio dall’amaro sapore dell’addio.
Iniziò ad urlarmi parole d’odio, di rabbia, parole che le premevano dentro da così tanto da aver acquisito un’intensità veramente elevata. Non erano indirizzate a me, ma capivo perché ero io a doverle sentire…non voleva perdermi.
Aveva ragione ad essere furiosa, la vita con lei era stata ingiusta, ora più che mai avendo trovato in me quell’appiglio di cui sentiva tanto il bisogno.
Mi voltai, pronto ad eseguire l’atto finale del mio copione, quando la sua mano fredda mi trattenne, trascinandomi in quel bacio negato di qualche attimo prima.
Il freddo di quella notte scomparve sostituito da un calore immane provenire da dentro i nostri corpi; le mie mani cercavano il suo viso, così perfetto, così lineare, mentre per il mondo eravamo un’unica entità. In un attimo tutto quello che avevo pensato di fare, tutta la mia voglia di cancellare me stesso svanirono, lasciando dentro me solo la consapevolezza di quelle labbra morbide dal sapore di sale e di quei bellissimi occhi bagnati di lacrime.
Le cascate divennero la colonna sonora di quel bacio, quel ponte il luogo dove ci amammo per la prima volta, dove finalmente entrambi avevamo trovato qualcuno che poteva far sbiadire quel maledetto passato.

Ci sono storie che non devono necessariamente finire male, e mentre le stelle ci facevano da spettatori riscrivemmo insieme quel capitolo, che di certo non sarebbe stato l’ultimo.

«Comunque… avevi ragione.»

«Su cosa?»

«Il Ponte…. Troppo basso…»

E tra uno sguardo un po’ truce ed un accenno ad un sorriso sul suo volto, ce ne andammo dal quel ponte, da quelle stradine che forse sarebbero diventate presto il mio mondo, il nostro mondo.

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